TRA '700 E '800

Le notizie sul settore minero-metallurgico nelle Valli di Lanzo diventano a partire dal ‘700 più numerose e precise, più scientifiche. Non derivano più solo da elenchi a fini essenzialmente fiscali o inventariali, ma spesso sono il risultato di vere e proprie ricerche. Il lavoro di Nicolis di Robilant ci offre un quadro interessante, anche se probabilmente incompleto (non tratta infatti della Val d’Ala), della situazione verso la fine del XVIII secolo.

É un periodo in cui entrano in scena imprenditori, non solo locali , con notevoli mezzi economici a disposizione, in grado di fronteggiare per qualche tempo, con iniziative che potremmo definire protoindustriali, la concorrenza degli impianti esteri ; quasi sempre però, nel giro di pochi decenni, gli eccessivi costi di estrazione, la carenza di combustibile, l’esaurimento dei giacimenti resero antieconomiche le imprese, determinandone l’abbandono o comunque frequenti interruzioni. D’ora in avanti i lavoratori locali saranno meno di frequente protagonisti del processo produttivo, e tenderanno a diventare semplice manodopera salariata, spesso dequalificata.

Di Robilant presenta innanzitutto il procedimento usato dai valligiani per ottenere la sabbia di ferro poi trasportata a spalle alle fonderie, le principali delle quali a Mezzenile e Pessinetto, che vedono così riconosciuta la loro priorità nel settore ; sempre a Mezzenile, oltre che a Germagnano, esisteva un altoforno di ghisa. Numerose erano anche le fucine presenti a Mezzenile, Pugnetto, Pessinetto, Chialamberto, Germagnano, Lanzo, in Val di Viù (più di 13 solo a Viù), in cui venivano prodotti i chiodi, coltelli ed altri oggetti in ferro. Si fa cenno anche alle miniere di ferro e argento sopra Groscavallo, che dovevano essere ormai inattive da qualche tempo : infatti il conte Amedeo Ferrero-Ponziglione, nella sua relazione del 1789, vi osserverà la mulattiera impraticabile e la sospensione dei lavori da alcuni anni.

Di Robilant segnale poi la miniera di cobalto della Corna sopra Usseglio, scoperta nel 1753 e concessa ai conti Rebuffo di Traves nel 1772, ma probabilmente già conosciuta e sfruttata nei secoli precedenti. Si trattava in questo caso di una iniziativa diversa rispetto alle altre realizzate fino ad allora nelle Valli, conforme ai tempi nuovi che prevedevano la progressiva internazionalizzazione dei mercati : infatti il minerale estratto, peraltro di buona qualità, veniva semplicemente in slicco presso l’edificio, dotato di pesta e laveria, appositamente costruito al Crot di Usseglio, all’imbocco del Vallone di Arnas, senza subire ulteriori lavorazioni, forse anche per l’indisponibilità in loco di sufficienti quantità di legname da usare quale combustibile. Il materiale era quindi avviato via Ginevra in Svevia (Germania) per la produzione di azzurro, impiegato nelle vetrerie. Dopo un inizio promettente ci furono interruzioni nei lavori, tanto che nel 1820 Luigi Francesetti segnalava che l’attività era ferma da qualche tempo. Riprese successivamente fin verso il 1848, e nel 1865 la miniera venne concessa all’ingegner Desprezz. Ulteriori lavori di poca importanza vennero effettuati ancora nel nostro secolo. Non abbiamo elementi che consentano di quantificare l’occupazione indotta dalla miniera della Corna : l’estensione delle gallerie e le infrastrutture realizzate inducono ad ipotizzare, almeno nella prima fase (fino all’inizio dell’800), l’impiego di una discreta quantità di manodopera, sebbene in modo discontinuo e stagionale, stante la quota elevata dov’erano ubicati i giacimenti (ben oltre 2000 m ). Stagionalità e discontinuità erano del resto caratteristiche comuni a quasi tutte le attività estrattive svolte nelle Valli di Lanzo : questo non impedì che diversi lavoratori si specializzassero come minatori, svolgendo tale mestiere anche all’estero (Francia, Germania, America) quando in valle non era più possibile trovare occupazione. L’impiego nel settore dell’estrazione mineraria appare comunque per i valligiani, nell’800 come nei secoli precedenti, prevalentemente un ripiego ed una integrazione rispetto alle consuete attività agro-pastorali : una situazione ben diversa se confrontata al settore della lavorazione del minerale, come si vedrà meglio più avanti.

Si è già accennato all’importanza attribuita dal di Robilant agli impianti per la lavorazione del ferro nella zona di Mezzenile : qui il settore trovò un solido sostenitore nella famiglia dei conti Francesetti di Mezzenile (non a caso il capostipite Michele Pietro Antonio era abile artigiano del ferro), di cui il conte Luigi fu l’esponente più noto, offrendoci tra l’altro nelle sue Lettres interessanti e precise informazioni sull’argomento. Oltre alla fusione e lavorazione del ferro, i Francesetti ne curarono per un certo periodo anche l’estrazione dalle ricche miniere dell’Uja di Calcante, presso cui si sfruttavano anche le sabbie ferruginose. Ancora nel 1830 vi si ricavò dell’ottimo ferro ; è probabile che più che l’esaurimento dei giacimenti, fu in questo caso determinante la carenza di legname quale combustibile a far preferire all’importazione di ferro dall’esterno, i costi complessivi evidentemente più bassi, ma anche a livello quantitativo inferiore.

Dopo l’abbandono delle miniere del Calcante, gli artigiani di Mezzenile e dintorni poterono contare su un’altra ottima fonte di approvvigionamento di materia prima : infatti nel 1823 venne concessa a Francesco Zumstein, imprenditore di Gressoney (Val d’Aosta), la miniera di ferro dell’Alpe Radis, nel vallone di Lusignetto, sopra Ala di Stura, passata successivamente a Samuele Biolley. Con notevoli investimenti fu costruita la mulattiera che dalle gallerie, poste a circa 2350 m di quota consentiva il trasporto a valle del minerale su slittoni fino alla Fabbrica, posta a 1000 m di quota sulla destra della Stura (di fronte all’attuale stazione di partenza della seggiovia per Pian Belfè), dotata di pesta, laveria, forni, affineria e fucina. Oltre al ferro grezzo destinato agli artigiani della valle (se ne fondeva da 900 a 1350 q l’anno), alla Fabbrica erano prodotte direttamente stufe, pignatte, ringhiere, inferiate, ecc. vendute sul mercato piemontese. Tra minatori, fonditori, fucinatori e carbonai venivano impiegate fino a 180 persone ; un rilievo notevole nell’economia della Val d’Ala, e si può facilmente immaginare la crisi nell’occupazione locale seguita alla cessazione dell’attività, intorno al 1865. Lo sfruttamento delle cave di talco delle Valli, presenti in diverse località, si sviluppò invece grazie ad un’impresa locale, la ditta Possio di Lanzo, che iniziò l’attività intorno al 1870 presso Viù, per concentrare poi le proprie energie soprattutto in Val Grande, sopra Vru di Cantoira dove lavoravano tutto l’anno una ventina di minatori. Il talco veniva disceso in teleferica a Villa di Cantoira e poi condotto al mulino di Pessinetto. Carrelli, gallerie ed altre strutture rimangono a testimoniare i lavori, interrotti solo alcuni anni or sono per gli eccessivi costi di estrazione.

In valle le infrastrutture minerarie più evidenti restano comunque quelle della miniera di pirite di Fragnè, ai Prati della Via di Chialamberto (Val Grande). Dopo alcuni tentativi in epoche precedenti, i lavori vennero avviati nel 1886 dalla Società Dinamite Nobel di Avigliana, che sul finire del secolo arrivò ad impiegare circa 110 persone addette alla cernita ed alla lavatura del minerale. Tra interruzioni e brevi riprese, passando in mano a diversi concessionari, l’attività proseguì fino al 1965 : almeno negli ultimi tempi la manodopera era composta prevalentemente da operai sardi e toscani. Si ripresentava così a distanza di secoli, l’immigrazione legata al settore minerario, che le valli avevano già conosciuto nel tardo Medioevo.



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