TECNOLOGIE MINERARIE

Tecnologia mineraria e metallurgica tra il '500 e fine '800

Il Piemonte non è certo oggigiorno una regione mineraria, se si esclude l’estrazione di materiali da costruzione (calce, sabbia, ghiaia, ecc.). Infatti molte delle miniere un tempo coltivate sono ormai in stato d’abbandono per esaurimento delle vene mineralizzate e per gli eccessivi costi di estrazione e manutenzione degli impianti. Infatti, come noto, è meno costoso importare il materiale grezzo o semilavorato da paesi più favoriti per l’abbondanza e facilità di valorizzazione delle risorse.

Il Piemonte non brillava nei secoli passati per i quantitativi di minerali estratti, soprattutto se paragonato ad altre regioni del nostro continente d’importante tradizione mineraria come, per esempio, la Francia e la Germania ; ciò nonostante il Piemonte fu sempre all’avanguardia per quanto riguarda la tecnologia estrattiva, di trattamento del minerale e la legislazione mineraria. Infatti non a caso la nitroglicerina (in seguito perfezionata e industrializzata dallo svedese Nobel) fu inventata dal torinese Ascanio Sobrero, la perforatrice ad aria compressa (per la perforazione dei fori da mina, utilizzati per la prima volta per lo scavo del tunnel ferroviario del Frejus) da Germano Sommeiler, la cernitrice magnetica (per la separazione del materiale con caratteristiche magnetiche) da Quintino Sella, la flottazione a schiuma (procedimento di trattamento del minerale che sfrutta l a tendenza delle particele metalliche ad aderire a corpi untuosi) da Alcide Froment, e gli "Statuti minerari di Brosso", risalenti al 1497, rappresentano uno dei primi esempi di legge mineraria nel mondo.

Le Valli di Lanzo furono relativamente importanti nei secoli passati, nel quadro economico-minerario dello Stato piemontese, solamente per l’estrazione ed il trattamento di minerali ferrosi (associati molto spesso a vene argentifere) e secondariamente, per un brevissimo periodo storico a cavallo tra il ‘700 e ‘800, per l’estrazione di minerali di cobalto.

Di queste passate attività minerarie rimangono ancora oggi numerose tracce di gallerie, discariche di sterili di coltivazione e ruderi di stabilimenti per il trattamento del minerale.

Se si escludono la miniera di pirite di Fragnè, coltivata attraverso numerosi livelli (gallerie di estrazione), e la miniera di talco di Brunetta, costituita da una galleria di carreggio lunga quasi 500 m, le rimanenti coltivazioni minerarie sono costituite da numerosi, disseminate e piccole (come lunghezza e sezione) gallerie.

L’industria di trasformazione del minerale estratto, ubicata quasi sempre a valle ed in prossimità di corsi d’acqua, era costituita da un gran numero di persone che si occupavano della frantumazione del minerale estratto, della separazione del minerale utile dallo sterile e del trattamento metallurgico del minerale utile.

 
Si ritiene conveniente soffermarsi brevemente sul ciclo lavorativo dei minerali ferrosi (costituiti essenzialmente da ematite, limonite e magnetite) che costituirono, come prima ricordato, la materia prima più importante per le vallate. Il ciclo produttivo può essere sintetizzato in tre momenti : estrazione, preparazione del minerale e trattamento metallurgico.

Lo scavo di giacimenti avveniva, come oggigiorno, a cielo aperto od in sotterraneo, dove si era soliti seguire le vene di minerale utile più ricche e abbondanti.

La maggior parte delle gallerie furono scavate, sicuramente sino alla metà del secolo scorso, con perforazione manuale dei fori da mina e caricamento con polvere nera ; infatti in moltissime gallerie sono ancora visibili le tracce delle canne di mina perforate.

Non è chiaro invece quando fu introdotto l’uso della polvere nera per facilitare e accelerare l’astrazione del minerale nelle Valli di Lanzo (sicuramente non prima del ‘600). Le operazioni di scavo, antecedentemente alla introduzione della polvere nera erano estremamente faticose e lente, effettuate inoltre, in condizioni molto disagevoli, se si tiene conto che parecchi giacimenti si trovavano a quote superiori ai 2000 m (come la miniera di ferro dell’Alpe Radis e cobalto presso Punta Corna) e la coltivazione a volte avveniva anche durante i mesi invernali.

I principali problemi tecnici incontrati durante le operazioni di scavo in sotterraneo - ancora attuali - riguardavano l’eduzione delle acque (ovvero l’estrazione dell’acqua incontrata in galleria), l’aerazione e l’illuminazione delle gallerie.

L’esistenza di gallerie di modeste dimensioni nelle Valli di Lanzo non sembra comunque testimoniare a favore di insormontabili problemi tecnici incorsi durante le attività estrattive.

Essendo la bibliografia "mineraria" delle Valli di Lanzo estremamente ridotta dal momento che la maggior parte degli Autori si limitano a descrivere le località oggetto di coltivazione mineraria e le caratteristiche del minerale estratto, si può supporre, con beneficio di inventario, che le tecnologie minerarie ivi in uso nei secoli passati non si discostassero sensibilmente da quelle impiegate nel medesimo periodo in altre aree minerarie europee (per le quali esiste invece una rilevante documentazione tecnica).

Prima dell’adozione della polvere da sparo in miniera (introdotta in Italia presso Agordo verso il 1640), la roccia era frantumata con semplici e rudimentali strumenti : un punteruolo ed un martello, un piccone a penna battente o una mazza e una zappa, come dimostrano anche le numerose tavole descrittive contenute nell’opera dell’Agricola.

La polvere da sparo ha rappresentato una vera e propria rivoluzione nell’abbattimento del mezzo roccioso : con pochi fori da mina di lunghezza mai superiore al metro ed alcuni chilogrammi di esplosivo era infatti possibile ottenere quantitativi di roccia che altrimenti avrebbero richiesto numerose giornate lavorative. Gli unici dati riguardanti le tecniche di scavo nel periodo barocco in miniere piemontesi, prevalentemente ubicate in Val Sesia, sono stati raccolti nei numerosi manoscritti lasciati dal Cavaliere S.B.Nicolis di Robilant.

In vallata non vi sono testimonianze di ardimentose opere di arte mineraria, contrariamente a quanto avvenne in Germania od in Francia, dove l’attività mineraria era forse più evoluta ed organizzata, anche in funzione della complessità e dimensione dei giacimenti ivi presenti, e le gallerie erano molto spesso scavate secondo numerosi sottolivelli collegati in genere da pozzi verticali o subverticali. Testimonianze di opere di sostegno in legno quando le gallerie non avevano caratteristiche "autoportanti", si trovano ancora oggi presso gli imbocchi di alcune gallerie relative della miniera di cobalto di Punta Corna.

Il minerale era trasportato a valle in panieri di vimini o di legno, o borse di cuoio, o carriole, ancora mediante slittoni, trainati in genere dall’uomo. In particolare, le mulattiere costruite per trasportare a fondovalle il minerale di ferro estratto presso l’Alpe Radis (Val d’Ala) e nel vallone del Trione (Val Grande) si prestavano molto bene all’utilizzo di slittoni.

La preparazione del minerale ferroso era realizzata tramite quattro semplici operazioni (rimaste attualmente invariate anche se la procedura ha subito un processo di automazione e perfezionamento) : frantumazione e selezione, arrostimento, lavaggio e riduzione del minerale in metallo.

Le operazioni di frantumazione e separazione, effettuate sino verso la fine del secolo scorso molto spesso da donne e bambini, consistevano semplicemente nella riduzione di pezzatura del minerale estratto e nella successiva separazione del minerale utile dallo sterile. Discariche di modeste dimensioni sono oggigiorno ancora visibili, per esempio, attorno agli imbocchi di alcune gallerie ubicate presso l’Alpe Radis, Punta Corna, il Monte Calcante ed il vallone del Trione, ove avveniva probabilmente una prima fase di cernita del minerale.

Il processo di arrostimento consisteva nell’introduzione, in apposite fornaci caricate dall’alto, di legna e minerale di ferro a strati alterni ; il minerale arrostito - anche per alcuni giorni - veniva poi accatastato al fondo del forno ed estratto.

Il minerale selezionato, dopo essere stato arrostito, veniva posto a "macerare" in fosse piene d’acqua per eliminare le impurità presenti (operazione di lavaggio) ; quindi veniva sottoposto al processo di riduzione del minerale in metallo. La "riduzione" del minerale di ferro consiste nella trasformazione, effettuata ad alta temperatura, ed in presenza di carbone, degli ossidi di ferro in ferro (più o meno puro) e anidride carbonica.

Il ferro così ottenuto tramite il processo di riduzione può essere lavorato nella fucina ; questo è infatti il luogo dove avvengono le lavorazioni plastiche per la produzione di manufatti finiti.

Nella fucina le lavorazioni erano eseguite sino all’alto Medioevo mediante martello azionato manualmente ; in seguito l’utilizzo dell’energia idraulica per l’azionamento di queste macchine rivoluzionò la tecnologia produttiva della fucina. Non si trovano nelle Valli, per il periodo storico in esame, testimonianze di macchine per la lavorazione dei metalli azionate idraulicamente, ma esiste comunque prova dell’utilizzo in fucina della caduta dell’acqua da una condotta idraulica (chiamata in gergo tromba idroeolica) per sfruttare lo spostamento d’aria da questa provocato e sostituire l’effetto altrimenti prodotto dai mantici azionati manualmente.

Un esemplare di questo "meccanismo" idraulico è ancora visibile e periodicamente funzionante in una fucina presso Mezzenile.

La vera e propria innovazione metallurgica fu rappresentata, verso l’inizio del ‘700, dal diffondersi dell’altoforno, dove si possono raggiungere temperature molto elevate capaci di fondere grandi quantità di minerale.

Per quanto riguarda l’esistenza di impianti metallurgici non rimangono testimonianze degne di nota in vallata, se si escludono i ruderi degli impianti di preparazione dei minerali di cobalto presso la frazione Crot di Usseglio e l’altoforno ben conservato, sito in località La Fabbrica di Ala di Stura, utilizzato per il trattamento del minerale ferroso estratto presso l’Alpe Radis.

Quali le conseguenze sull’ambiente delle tecniche impiegate ?
 
Per la verità i dati disponibili non sono molti, ma è certo che il problema dell’eccessivo disboscamento legato al consumo di legname quale combustibile nei forni e nelle fucine era sentito da tempo, tanto da trovare adeguato spazio già nei trecenteschi Statuti di Lanzo.

Diffuse tradizioni e documenti ricordano come nei tempi passati estesi boschi coprissero anche luoghi, come il vallone di Sea presso Forno Alpi Graie o la zona del Calcante fra Viù, Traves e Mezzenile, successivamente desertificati proprio per l’intensa attività mineraria che vi si svolgeva.

Del resto i dati sul consumo di legname per la fusione del ferro forniti dal conte Franceschetti a inizio ‘800 sono significativi. Ciascuna fusione, che durava un paio d’ore, richiedeva circa 55 kg di carbone di castagno o di faggio per produrre circa 25 kg di buon ferro ; le fusioni andavano avanti ininterrottamente 6 giorni la settimana, e ciascun forno produceva annualmente circa 30 tonnellate di ferro, consumando quindi circa 66 tonnellate di carbone. Poiché per ottenere 1 kg di carbone occorrevano mediamente 6 kg di legname, i conti sono presto fatti ; c’era poi da considerare anche il consumo delle fucine, e, nei secoli precedenti, le rese degli impianti potevano essere anche molto inferiori. Non a caso furono numerosi gli abbandoni dei giacimenti, anche promettenti, dovuti a carenza di legname da carbone nelle vicinanze o agli eccessivi costi per procurarselo.



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